Alviero Martini, l’azienda di moda commissariata: “Borse di lusso fabbricate da cinesi sfruttati”

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In tanti si sono chiesti come mai, tanti articoli di moda, in particolare borse, che vengono offerte su tutti i moli e le spiagge italiane da immigrati sfruttati e che vengono portati sul posto la mattina presto da pullmini non certi di volontari o benefattori del terzo Mondo e ritirati la sera tardi, con l’obbligo di smerciare a cottimo, siano così tanto somiglianti a pezzi che nel centro di Firenze o in via Montenapoleone, vengono vendute a centinaia e centinaia di euro a pezzo. Eppure, spesso, specie nelle borse non in pelle ma in materiali sintetici, la stampa sembra identica!!

Possibile che i falsari possiedano tale capacità tecnica e tali tecnologie da copiare così esattamente “opere d’arte” e farle vendere, a pochissime decine di euro, da quelli che una volta si definivano, se non con disprezzo, con un po’ di ironia: “Vu’ cumpra”?

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Forse la vicenda odierna comincia a spiegare (ma molto altro resta da fare!) qualche interrogativo di questi.

Alviero Martini, l’azienda di alta moda, produttrice in particolare di borse, è stata oggi commissariata per caporalato: le sue borse di lusso venivano fabbricate da “opifici cinesi”. Che producono ormai di tutto, ma soprattutto tanti sfruttati. Tutti cinesi. Ed anche questa è una singolarità italiana, perché non si è mai visto un’immigrazione così potente, in nessun paese del mondo che non impieghi manodopera locale! Ad eccezione di qualche cameriere italiani in qualche bar delle migliaia e migliaia di caffè italiani che ormai sono in mano ai cinesi.

A Milano, è stato comunque emesso decreto di amministrazione giudiziaria nei confronti del brand dell’alta moda che aveva totalmente esternalizzato la produzione senza controlli sulla filiera.

La produzione era interamente affidata all’esterno. E nessun controllo veniva fatto sull’intera filiera. Cosa strana per un’azienda di altissima moda, della quale in passato avevamo letto su Internet, che, “per combattere la continua vendita illegale di copie dei propri prodotti, l’azienda ha deciso di innalzare ancora di più i propri trend qualitativi, realizzando prodotti Made in Italy di altissima gamma, dando così il colpo di grazia definitivo alla contraffazione”! (?)

I carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano hanno dato esecuzione a un decreto di amministrazione giudiziaria emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale a carico dell’azienda operante nel settore dell’alta moda, la Alviero Martini: “in quanto sarebbe ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo, non avendo mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative ovvero le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.

In tale contesto, i militari guidati dal colonnello Loris Baldassarre hanno accertato che la casa di moda avrebbe affidato, mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi. Le aziende appaltatrici disponevano solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e riuscivano a competere sul mercato solo esternalizzando le commesse a opifici cinesi, che a loro volta abbattevano i costi “grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”.

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Tale sistema avrebbe consentito di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo, con il classico sistema “a strozzo”, l’opificio cinese che produceva effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza “in nero” e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i contratti collettivi di settore riguardo a retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie.

A partire dal settembre del 2023, gli investigatori del Nil hanno effettuato accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda, procedendo al controllo dei soggetti affidatari degli appalti nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nelle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia.

In particolare, sono stati controllati otto opifici, tutti risultati irregolari, nei quali sono stati identificati 197 lavoratori, di cui 37 occupati in nero e clandestini sul territorio nazionale. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata, è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione), nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente e in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.

Sono stati denunciati in stato di libertà a vario titolo per caporalato e altri dieci titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché 37 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a oltre 153mila euro e sanzioni amministrative pari a 150mila euro e per 6 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.

Da parte sua l’azienda Alviero Martini “ribadisce che tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l’azienda stessa”. L’azienda sottolinea poi “di essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la società né i propri rappresentanti, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro”.

Fatto sta che, come titolano “Il Giorno” o “Fanpage” borse da 20 euro, (già il prezzo fatto dai forzati delle spiagge) vendute sul mercato a 350!

E per distinguerle da quelle “tarocche”, non parliamo di quelle di Alviero Martini che hanno da sole da oggi tanti guai, che proprio non ci vorrebbero alla cosiddetta Alta Moda di un Paese che ha già troppi problemi, ma di marchi anche più famosi e internazionali da decenni sono in bella mostra e in vendita su bancarelle improvvisate o portate a braccio da Africani sulle spiagge italiane, si deve davvero far fatica!

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