Genova, Infermiera uccisa, caso riaperto dopo 27 anni

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A 27 anni di distanza dall’omicidio a Genova di Maria Luigia Borrelli, l’infermiera che si prostituiva in un basso, la Procura ha riaperto il caso di quello che è conosciuto come il ‘delitto del trapano’: l’’utensile con il quale venne uccisa.

La donna, 42 anni, venne assassinata il 5 Settembre 1995 in un basso, in vico Indoratori, nel centro storico di Genova, dove a sera si prostituiva con il nome di “battaglia” di Antonella. Mentre di giorno accudiva un’anziana come infermiera.

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Una donna, figlia di una amica della vittima, anche lei infermiera, alora bambina, ha rivelato al giornalista de Il Secolo XIX, Marco Menduni, alcune clamorose confidenze ricevute dalla madre, non più in vita.

Maria Luigia Borrelli secondo queste dicerie, sarebbe stata uccisa da un primario di un ospedale cittadino con il quale aveva una relazione e che lei aveva ricattato.

Il collega Menduni ha messo in contatto la donna con la Procura di Genova ed il caso è tornato sulla scrivania del sostituto procuratore Patrizia Petruzziello che allora seguì il caso. La testimone è già stata sentita dai carabinieri. Ha raccontato che quando avvenne l’omicidio, sua madre le confidò di avere forti sospetti su un primario, morto negli anni scorsi.

L’uomo l’aveva conosciuta in corsia dove lavorava come infermiera, prima di dedicarsi all’assistenza agli anziani. La testimone ha raccontato che la madre le disse che il primario, nei giorni dopo l’omicidio, si presentò al lavoro con il volto segnato, tanto che qualcuno gli disse se aveva fatto a pugni con il gatto. Non solo la donna rivelò alla figlia che dietro all’omicidio poteva esserci un ricatto da parte della Borrelli, la quale, vedova, con i debiti lasciati dal marito e i figli da crescere, aveva sempre bisogno di soldi, era stata costretta a prostituirsi e poteva aver preteso denaro dal primario, per non rivelare la loro relazione.

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Il Dna dell’assassino è stato trovato dagli investigatori di allora sulla scena del crimine, ma non ha dato corrispondenza con i sospettati. Anzi ne ha scagionato uno, ma troppo tardi: poco prima che arrivassero i risultati, travolto dalla vergogna per i sospetti, si era ucciso lanciandosi dalla sopraelevata: era il muratore Ottavio Salis. Suo il trapano usato per uccidere, ma l’attrezzo era lì, perché lui stava ristrutturando il basso. Poi gli inquirenti misero nel mirino una gang di strozzini, un cliente abituale, un uomo che si presentò insanguinato in un albergo della zona, un marocchino autori di omicidi a Torino. Ma quel Dna li ha scagionati tutti.

Adesso si potrà confrontare con quello del primario?

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