Omicidio di Fatmir Ara, regolamento di conti nella mala albanese?
Forse un regolamento di conti o uno sgarro. Questa la pista principale che stanno seguendo i carabinieri per risolvere il giallo dell’omicidio di Fatmir Ara, l’impresario edile di origini albanesi e residente a Mathi, trovato senza vita in un campo a San Carlo Canavese in provincia di Torino. Lunedì gli investigatori della compagnia di Venaria, coordinati dalla Procura di Ivrea, hanno ascoltato diverse persone e oggi l’autopsia dovrebbe chiarire la dinamica del delitto.
A uccidere «Miri», come lo chiamavano amici e parenti, potrebbe essere stato un commando composto da più persone. L’imprenditore sarebbe stato prima torturato e poi ucciso con alcuni colpi di arma da fuoco. Quasi certamente un fucile.
I precedenti di Ara porterebbero a pensare a un’esecuzione maturata nell’ambito della malavita albanese. Del resto i legami con gli ambienti criminali del 43enne erano già emersi in vari procedimenti giudiziari.
L’impresario era stato coinvolto in indagini per possesso di armi e delitti contro il patrimonio tra il 2003 e il 2014 e successivamente era stato indicato come uno dei maggiori esponenti di una banda dedita al traffico di stupefacenti. Al centro di un’inchiesta chiusa nel 2020 finì anche una pizzeria di Ciriè, di proprietà della sua compagna, ma di fatto gestita da Ara. Secondo i carabinieri le ordinazioni al telefono venivano fatte per margherite e capricciose, ma a domicilio arrivavano dosi di cocaina.
5 anni fa, due uomini a bordo di una potente moto, spararono alcuni colpi di pistola contro la Bmw parcheggiata proprio di fronte al ristorante. A conclusione dell’indagine nata da quell’episodio il gip aveva descritto come un «personaggio di indiscussa importanza», all’interno dell’organizzazione criminale che spacciava droga nel Canavese. Era a lui che i suoi complici si rivolgevano per risolvere i problemi, dalla cimice trovata nel deposito degli stupefacenti, al cliente che non pagava. Secondo gli investigatori Ara reinvestiva i guadagni illeciti «acquistando e rivendendo immobili avvalendosi di prestanome». E inoltre aveva «agganci» fra le forze dell’ordine e nelle amministrazioni locali. Stava scontando una condanna ai domiciliari e dava l’apparenza di aver cambiato vita.