Ndrangheta a Roma: le mani delle cosche sui locali della Capitale, 43 arresti

Tempo di lettura 4 minuti

Di Daniele Vanni

Gli arrestati sono accusati di far parte di una locale di ‘ndrangheta, radicata nella capitale e finalizzata ad acquisire la gestione e il controllo di attività economiche in svariati settori

“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”. E’ la frase contenuta in un’intercettazione nell’ambito della maxi operazione “Propaggine” che su disposizione della direzione distrettuale antimafia di Roma e della Dia ha portato a 43 arresti tra Roma, Lazio e Calabria, nei confronti di quella che è considerata la prima locale ufficiale di ‘ndrangheta nella Capitale. A capo della ‘ndrina di Roma c’erano Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo: proprio Carzo nell’estate del 2015 ha ricevuto dalla casa madre della ‘ndrangheta l’autorizzazione per costituire una locale nella Capitale, retta dallo stesso Carzo e da Alvaro. La particolarità di questa organizzazione è che non mirava al controllo del territorio ma a investimenti e riciclaggio, in particolare nel settore commerciale e quello della ristorazione. 

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Inchieste Propaggine 

Tra gli arresti ci sono anche un commercialista e un dipendente bancario. Eseguito contestualmente dalle forze dell’ordine (questure e comandi provinciali dei carabinieri e della guardia di finanza di Roma e Reggio Calabria) anche un sequestro preventivo di urgenza di una serie di società e imprese individuali operanti nella Capitale e intestate a prestanome. Tra le accuse contestate a vario titolo, dai procuratori aggiunti di Roma Michele Prestipino e Ilaria Calò, alle 43 persone arrestate (38 in carcere e 5 agli arresti domiciliari), c’è l’associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.

La propaggine romana autorizzata dalle ndrine calabresi 

“Le indagini svolte hanno consentito di appurare” come “i sodali della cosca Alvaro abbiano dato vita, nel territorio della Capitale, ad un’articolazione (denominata ‘locale di Roma’), che rappresenta un ‘distaccamento’ autonomo del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto, in provincia di Reggio Calabria. È emersa, sempre allo stato degli atti, un’immagine nitida dell’esistenza di una propaggine romana, oggetto della corrispondente attività di indagine della Dia di Roma, connotata da ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, ed al contempo della permanenza dello stretto legame con la ‘casa madre sinopolese’, interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del ‘distaccamento’ romano è stata in origine autorizzata dai massimi vertici della ‘ndrangheta, operanti in Calabria”. 

Le intercettazioni 

Secondo quanto emerso dall’operazione Propaggine, la ‘ndrina locale che operava a Roma dal 2015 dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria si fondava su una diarchia. Le indagini in particolare hanno evidenziato come fino all’estate del 2015 non ci fosse una “locale” attiva nella Capitale. Nell’estate del 2015 poi Carzo avrebbe ricevuto dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine. Il gruppo operava su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l’associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni.

Infiltrazioni nel comune reggino di Cosoleto 

Un “forte interesse” dei sodali all’esito “della competizione elettorale del Comune di Cosoleto (Reggio Calabria), fino ad attivarsi “in favore dell’attuale sindaco del Comune di Cosoleto”. “L’associazione sinopolese è risultata”, allo stato delle indagini, “pienamente operativa nel controllo del territorio”, e le indagini hanno mostrato “un forte attivismo” nella risoluzione di “frizioni” connesse all’avvicendamento delle nuove leve nella gestione del ‘locale’ di Cosoleto, nonché quelle “relative alla cura dei rapporti con i vertici della propaggine romana”. È quanto invece emerge dall’inchiesta “Propaggine” nella sua articolazione calabrese. 

La cosca Alvaro di Sinopoli 

Dalle indagini è emerso, inoltre, come la cosca Alvaro, oltre ad essere operativa nel territorio di Sinopoli, domini anche il centro urbano di Cosoleto, paese aspromontano dove insiste un ‘locale’ di ‘ndrangheta autonomo nelle attività illecite ordinarie ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. Gravemente indiziati di ricoprire i ruoli verticistici delle organizzazioni calabresi sono Carmine Alvaro detto ‘u cuvertuni’, capo locale di Sinopoli, nonché, quali capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto ‘ciccio testazza’, Antonio Alvaro detto ‘u massaru’, Nicola Alvaro detto ‘u beccausu’, Domenico Carzo detto ‘scarpacotta’. 

La Propaggine romana 

L’associazione sinopolese è risultata, allo stato delle indagini, pienamente operativa nel controllo del territorio; le indagini hanno mostrato un forte attivismo degli indagati nella risoluzione immediata di situazioni di criticità e frizioni, quali ad esempio quelle connesse all’avvicendamento delle nuove leve nella gestione del locale di Cosoleto, affidato a capi ormai anziani, quelle relative alla cura dei rapporti con i vertici della propaggine romana (Alvaro Vincenzo, figlio di Alvaro Nicola detto u beccausu, e Carzo Antonio, figlio di Carzo Domenico detto Scarpacotta), nonché quelle relative alle problematiche scaturenti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dal disaccordo tra i capi dei diversi ceppi della famiglia Alvaro.

Il compendio indiziario raccolto mediante l’attività investigativa ha evidenziato, fatte salve le successive valutazioni di merito, un forte interesse dei sodali all’esito della competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018: Carzo Antonio, capo locale romano, è stato ritenuto, infatti, gravemente indiziato del delitto di cui all’art. 416 ter c.p. in favore dell’attuale sindaco del Comune di Cosoleto (Antonino Gioffrè, finito ai domiciliari).

“Mafie pericolo per democrazia”

Nicola Zingaretti, saputo del blitz, esulta: “Grazie alla Dia e alla Dda di Roma per la più importante operazione mai fatta nella Capitale contro la ‘ndrangheta. Le mafie sono un pericolo per la democrazia. Insieme possiamo combatterle”. 

Grande apprezzamento per l’imponente operazione anche dal prefetto di Roma, Matteo Piantedosi: “Ringrazio gli uomini della Dia e delle forze dell’ordine ed i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Roma che, in coordinamento con i colleghi di Reggio Calabria, hanno segnato oggi un altro importante punto nella lotta alla criminalità organizzata, ribadendo il forte impegno delle Istituzioni nel contrasto alle consorterie malavitose”. 

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