“U Tratturi”: dalle campagne al potere, 19 anni fa la fine di una latitanza record

La Dott.ssa Wilma Ciocci davanti al covo di Provenzano
Palermo, 11 aprile 2025 – Era l’11 aprile del 2006 quando, dopo ben 43 anni di latitanza iniziata il 10 settembre 1963, si concludeva la fuga di Bernardo Provenzano. Un’esistenza nell’ombra, la sua, iniziata nelle campagne di Corleone e culminata ai vertici di Cosa Nostra. Prima di scalare le gerarchie mafiose, il giovane Bernardo era conosciuto con un soprannome che richiamava la sua umile origine: “u tratturi”. Per comprendere meglio l’ascesa criminale di questo personaggio enigmatico, abbiamo incontrato la criminologa Wilma Ciocci, che ha dedicato anni di studio al complesso fenomeno mafioso.
Dottoressa Ciocci, come si è sviluppata l’ascesa criminale di Bernardo Provenzano nel contesto rurale siciliano?
- “Veda, Provenzano affonda le sue radici proprio in quella Corleone che, purtroppo, è divenuta sinonimo di mafia. Nato in una famiglia di agricoltori, la sua infanzia fu segnata dal duro lavoro nei campi, tanto da costringerlo ad abbandonare presto la scuola. Un episodio singolare della sua giovinezza fu l’insegnamento privato di matematica ricevuto da un giovane Vito Ciancimino, figura che in seguito avrebbe rivestito un ruolo controverso nella politica. È in questo ambiente di lavoro manuale e scarsa istruzione che Provenzano muove i primi passi nell’illegalità, dedicandosi al furto di bestiame e generi alimentari. Questi piccoli crimini rappresentano il preludio al suo ingresso nel cuore della mafia, un legame sancito dall’affiliazione alla cosca locale per mano del boss Luciano Liggio. Un momento cruciale nella sua precoce carriera criminale si colloca intorno al 1954, quando, riformato dal servizio militare, si ritrova coinvolto nella macellazione clandestina di animali rubati, operando nei terreni di “Piano di Scala” insieme a Liggio e alla sua banda. La situazione si fa ancora più torbida quando Provenzano, Liggio e Salvatore Riina diventano il braccio armato di Michele Navarra. Tuttavia, la loro spietatezza e ambizione portarono Navarra a tentare di eliminarli. Un piano fallimentare che innescò una violenta reazione: il 2 agosto 1958, gli uomini di Liggio assassinarono Navarra”.
Dottoressa Ciocci, se non ricordo male Il primo ad arrestare Provenzano fu un giovane capitano dei carabinieri passato alla storia come il terrore della mafia e poi vittima lui stesso della criminalità organizzata?
- ” Si è esatto. La spirale di violenza culminò il 6 settembre successivo, in un conflitto a fuoco contro i mafiosi rivali Marino. In quell’occasione, Provenzano rimase ferito e venne arrestato dal capitano dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa. Le accuse erano gravi: furto di bestiame, armi, formaggio e cereali, oltre a macellazione clandestina e associazione a delinquere. Durante il breve ricovero in ospedale, la sua versione dei fatti fu quella di una ferita accidentale. Dopo soli 17 giorni, riuscì a dileguarsi, svanendo nell’ombra di una latitanza che sarebbe durata decenni, segnando l’inizio della sua ascesa ai vertici di Cosa Nostra.Dietro la figura di Bernardo Provenzano, il boss corleonese la cui latitanza record terminò 19 anni fa, si addensano ombre inquietanti che toccano i confini tra mafia e massoneria deviata. Sebbene mai confermate ufficialmente, le testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia hanno più volte sollevato interrogativi sui presunti legami del capomafia con il mondo massonico.Secondo le rivelazioni del pentito Francesco Di Carlo, il contatto tra Provenzano e la massoneria sarebbe avvenuto tramite il suo commercialista di fiducia, Giuseppe Mandalari, un personaggio di spicco con il 33º grado del Rito scozzese antico ed accettato”.
Ancor più inquietante è il racconto di Gioacchino Pennino, il quale riferì che nel lontano 1981 Provenzano sarebbe addirittura stato posto a capo di una super loggia segreta denominata “Terzo Oriente”. Questa presunta nomina sarebbe avvenuta per esplicita volontà di Licio Gelli, figura centrale nello scandalo della loggia P2.
Un ulteriore elemento di mistero emerge dalle dichiarazioni di Francesco Campanella, ex consigliere comunale di Villabate e fiancheggiatore di Provenzano, il quale iniziò a collaborare con la giustizia nel 2005. Campanella, iscritto alla loggia “Triquetra” del Grande Oriente d’Italia, parlò di un “terzo livello” di soggetti in diretto contatto con il boss latitante. Secondo la sua testimonianza, questa rete occulta avrebbe garantito alla mafia benefici cruciali a livello informativo, attingendo a fonti interne alle forze dell’ordine, alla magistratura e ai servizi segreti. Campanella fu esplicito nel collegare questo “terzo livello” alla presenza della massoneria.
- “Queste testimonianze, pur non avendo mai trovato riscontri giudiziari definitivi, alimentano un dibattito ancora aperto sulla possibile commistione tra organizzazioni criminali e frange deviate della massoneria. Un intreccio opaco che, se confermato, getterebbe una luce ancora più sinistra sulle dinamiche di potere che hanno caratterizzato la storia della mafia siciliana e le sue ramificazioni occulte. Il mistero di questi presunti legami continua ad aleggiare, contribuendo a rendere la figura di Bernardo Provenzano ancora più complessa e sfuggente, anche a distanza di anni dalla sua cattura”.
La redazione