Giustizia in Italia: un faro spento nel buio.

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Una corsa ad ostacoli per la difesa

L’Italia, culla del diritto, oggi si trova ad affrontare una grave crisi nel settore giudiziario. Nonostante la riforma del 1988 che aveva l’ambizioso obiettivo di rendere i processi più rapidi ed efficienti, la realtà dei tribunali italiani è tutt’altro che rosea.

Il Decreto del Presidente della Repubblica 447 del 1988, noto come “codice Pisapia-Vassalli”, rappresentava un punto di svolta nella storia del diritto processuale penale italiano. I suoi promotori avevano individuato tre obiettivi principali:

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Brevità dei processi: L’idea era quella di accelerare i tempi della giustizia, evitando lungaggini burocratiche e garantendo tempi certi per le indagini e i processi.
Contraddittorio tra le parti: Si intendeva rafforzare il ruolo delle parti (accusa e difesa) nel processo, garantendo un contraddittorio più ampio e incisivo.
Tutela dei diritti della persona: L’obiettivo era quello di assicurare una maggiore tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, sia del presunto colpevole che della vittima.
Tuttavia, a distanza di oltre trent’anni dalla riforma, questi obiettivi sembrano ancora lontani dall’essere pienamente raggiunti.

Un percorso a ostacoli per il diritto alla difesa

In Italia, esercitare il diritto alla difesa si è trasformato in una vera e propria corsa a ostacoli. I ritardi nei processi, la carenza di personale, la complessità delle procedure e la sovraccarico di lavoro dei magistrati sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono a rallentare l’amministrazione della giustizia.

Le conseguenze di questa situazione sono molteplici e gravi:

Danneggiamento dell’immagine della giustizia: La lentezza dei processi erode la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e mina il principio di uguaglianza di fronte alla legge.
Violazione dei diritti dei cittadini: I ritardi nei processi violano il diritto ad un giusto processo entro un termine ragionevole, sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Aumento dei costi: La durata eccessiva dei processi comporta costi elevati per lo Stato e per le parti private coinvolte.
Per affrontare questa emergenza, è necessario un intervento deciso e coordinato da parte delle istituzioni. Tra le possibili soluzioni si possono citare:

Aumento degli organici: È fondamentale potenziare gli organici dei tribunali, assumendo nuovi magistrati e personale amministrativo.
Semplificazione delle procedure: Occorre semplificare le procedure, eliminando gli adempimenti superflui e digitalizzando i processi.
Formazione dei magistrati: È necessario investire nella formazione dei magistrati, fornendo loro gli strumenti necessari per affrontare le nuove sfide della giustizia.
Introduzione di nuovi strumenti processuali: Si possono introdurre nuovi strumenti processuali, come la mediazione e l’arbitrato, per risolvere in modo più rapido ed efficiente le controversie.
Nonostante l’introduzione dell’articolo 111 della Costituzione italiana, che ha sancito il principio del contraddittorio tra le parti e garantito un giusto processo, la realtà dei tribunali italiani mostra ancora uno squilibrio significativo a favore dell’accusa. La difesa, pur essendo un diritto fondamentale, continua a essere considerata una sorta di “Cenerentola” del processo penale.
Il principio del contraddittorio, pilastro di ogni sistema giudiziario democratico, sembra troppo spesso disatteso nella pratica. Le indagini preliminari, spesso lunghe e complesse, vedono la difesa in una posizione di svantaggio, con limitate possibilità di accesso agli atti e di partecipare alle attività investigative.

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L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero, gode di poteri investigativi ampi e di una posizione di forza all’interno del processo. La difesa, invece, deve spesso far fronte a una mole di prove raccolta dall’accusa, senza disporre delle stesse risorse e strumenti.
Questo squilibrio ha conseguenze significative:
Minore garanzia per gli imputati: L’imputato, presunto innocente fino a prova contraria, si trova spesso a dover affrontare un processo in cui le prove a suo carico sono presentate in modo più efficace e spesso considerate “più prove” rispetto a quelle a suo favore.
Rischio di errori giudiziari: Un processo sbilanciato aumenta il rischio di errori giudiziari, condanne ingiuste e proscioglimenti impropri ai danni delle parti lese.
Perdita di fiducia nella giustizia: I cittadini perdono fiducia nella giustizia quando percepiscono che il processo non è equo e imparziale.

Per rimediare a questa situazione, è necessario un intervento legislativo che rafforzi il ruolo della difesa e garantisca un effettivo contraddittorio tra le parti. Alcune possibili soluzioni includono:

Maggiore parità tra le parti:
È fondamentale garantire alla difesa le stesse possibilità di accesso alle prove e di svolgere indagini difensive con maggiore efficacia rispetto a quelle attuali. Efficacia consistente anche nelle giuste punizioni penali per chi fornisce informazioni false o reticenti al difensore e all’investigatore privato.

Formazione dei giudici: I giudici devono essere adeguatamente formati per garantire un’applicazione corretta dei principi del contraddittorio.

Solo attraverso una riforma radicale del sistema processuale penale sarà possibile garantire un processo equo e imparziale per tutti, tutelando sia i diritti degli accusati che l’interesse della collettività alla giustizia.

Un processo equo è un processo in cui le parti hanno le stesse opportunità di far valere le proprie ragioni. Solo in questo modo la giustizia potrà essere percepita come equa e imparziale.

Fino ad allora, il processo non potrà essere considerato un processo e soprattutto un “Giusto Processo”.

Davide Cannella

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