Cosa Nostra e il Traffico dei Grandi Bronzi nel Canale di Sicilia

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Il Nord Africa è stata una delle province più floride dell’Impero Romano (Africa Proconsolare): direttamente gestita dal Senato e scevra da incursioni barbariche si arricchì enormemente dei traffici agricoli e delle immense risorse umane che poteva fornire a Roma. Vi nacquero grandiose Ville che producevano grano, vino e olio e una ricca classe patrizia potè beneficiare per secoli di una smisurata produzione di suppellettili ad uso comune per le mense di tutto l’Impero Romano (Ceramica Sigillata Africana). Questi ricchi possidenti abbellirono le loro dimore, anche se erano a scopo produttivo, di statue ed opere d’arte di ogni tipo: la linea di navigazione che univa la Sicilia a Capo Bon in Tunisia vide passare navi onerarie ricche di qualsivoglia produzione artigianale che Roma potesse offrire. Questo tratto di mare fu particolarmente fortunato anche con la fine dell’Impero. Il popolo germanico dei Vandali vi stabilì il suo regno e riempì le sue casse di tutti i tesori che poteva sottrarre alla ormai decaduta capitale: in questo caso cioè le navi trasportarono le effigi dell’antica gloria dell’Impero Romano e nei fondali del Canale di Sicilia possiamo trovare gli antichi arredi dei monumenti che celebravano le vittorie di Roma nel mondo conosciuto. Non è un caso infatti che a fine anni ‘90 sia emersa una statua di Prassitele, eccezionale artista greco del IV° sec. a.C.: il cosiddetto “Satiro Danzante”.

Molte altre sono le ricchezze racchiuse in questo tratto di mare e i profondi fondali ne custodiscono il valore. Il nostro satiro si palesa per le evidenti orecchie a punta e per un foto sul dorso che ospitava la coda. Da un poema del 450 d.C. (Nonno di Panopoli), che parla della sfida fra Sileno e Marone, riconosciamo che il nostro satiro è rappresentato nel momento di cadere in “deliquio” e morire dopo una danza vorticosa di estasi orgiastica e possessione divina dovuta all’ebrezza. Si tratta di un tema assai rappresentato nel mondo classico che riguarda il “Mito di Dioniso”. Possiamo così con assoluta certezza, grazie alle numerose riproduzioni anche su diversi supporti, che era provvisto di una pelle di pantera pendente dal braccio sinistro, mentre nella mano sinistra teneva il vaso per offrire il vino (Kantharos), e di un lungo bastone al lato destro, provvisto al culmine di pigna (tirso), che osservava mentre ruotava vorticosamente sulla gamba destra: nello stesso modo dei dervisci turchi quando ruotano per andare in una trance mistica.

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Il vaso per le libagioni (kàntharos), ormai svuotato dal vino, era con ogni probabilità a terra dato che il satiro era alla fine del suo ritmo vorticoso e stava per cadere. Da tutte le raffigurazioni possiamo essere certi non fosse mai da solo: faceva parte di un gruppo scultoreo cospicuo. Oltre al riferimento alla già vista “sfida fra Sileno e Marone”, narrata da Nonno di Panopoli, da alcuni vasi possiamo intuire che potesse essere lui a distribuire il vino al centro di un’accolita o altrimenti fare parte di un corteggio insieme ad altri satiri o menadi, secondo il Mito di Dioniso (assai più probabile). Il nostro satiro, per la posizione, rimanda anche al mito della “Morte di Talo”, raffigurato su alcuni vasi mentre viene sorretto dai due Dioscuri nel momento del crollo. Al di là della sua attribuzione che è quasi certamente quella di un satiro danzante, la nave che lo trasportava era sicuramente piena di altre statue simili a lui: con ogni probabilità quello dello stesso gruppo scultoreo depredato da Genserico nel Sacco di Roma del 455 d.C. Il grande scultore Prassitele ha trattato più volte il tema del “Mito di Dioniso”. Plinio nella sua “Naturalis Historia” ricorda che tra i vari bronzi del grande scultore ateniese, vi era un gruppo che trattava il tema dell’ebrezza (Mèthe). Fra essi c’era un satiro preso da estasi mistica che ruotava vorticosamente (peribòteos). La domanda che ci poniamo è la stessa che ci siamo posti con il gruppo dei “Setta a Tebe” dei Bronzi di Riace. Dove sono gli altri compagni del nostro satiro? E gli arredi che aveva con sé che fine hanno fatto? Quando Era riconobbe la paternità a Zeus di Dioniso ci fu un grande carosello di esaltazione e follia orgiastica: il satiro era sicuramente parte di un gruppo di statue che adornava qualche tempio. La nave da cui proviene fu con ogni probabilità quella perduta dal Re Genserico nel 455 d.C. dopo il terribile sacco di Roma. Molte altre razzie dalla capitale raggiunsero il Nord Africa: il tesoro immenso di statue non è solo quello di un satiro. Sono troppe le riproduzioni coeve e successive del satiro per essere trattate in questa sede. Difficile è capire di quante statue fosse composto il suo gruppo scultoreo: sicuramente faceva parte degli arredi templari dell’Urbe data la sua importanza. Infatti in quel tratto di mare è avvenuta anche la scoperta di una zampa di elefante in bronzo, da un altorilievo pubblico che celebrava le vittorie di Roma in Oriente od Africa. Anche questa è l’eccezionale riproduzione anatomica di questo animale esotico usato per primo dal Generale Pirro contro i Romani: in posizione flessa e a grandezza naturale riproduce perfettamente le venature dall’animale. Inoltre gli scavi archeologici dell’Isola di Pantelleria dimostrano una ricchezza di traffici in quell’area già in epoca preromana.

L’isola è posta proprio fra Capo Bon e la Sicilia e godette di una floridezza eccezionale già dalla fine del V° sec. a.C., grazie ai commerci di arredi per dimore gentilizie e di opere d’arte. La nave mercantile greca naufragata presso Madhia nel I° sec. a.C. sulla costa Tunisina, mostra con chiarezza la ricchezza di opere d’arte, arredi, mobili e di elementi architettonici destinati all’Africa Proconsolare: fra essi possiamo annoverare un’erma di Dioniso in Bronzo, firmata da Boeto di Calcedonia, e altre opere minori come Eros Citaredo, Satiro in Corsa, Hermes Oratore, due statuette di Ermafrodito e di Eros Androgino, due volti di Dioniso e Arianna e varie statuette simili ai nostri nani da giardino”, dal valore teatrale e divertente. Ancora una volta spiccano le raffinate sculture in bronzo di un valore commerciale, sul mercato clandestino, assai elevato: la legge non considera reato rubare quello che non si vede, perché sotto il mare o sottoterra, e riuscire a trafugarle senza sospetti è un guadagno notevole se piazzate nei musei stranieri più importanti. Questa cosa non è di certo mai sfuggita alle grandi indagini archeologiche, con mezzi ultra moderni fra cui un sottomarino nucleare, condotte da R. D. Ballard nel tratto di mare vicino a dove fu rinvenuto il Satiro Danzante. Questa cosa non sfuggì nemmeno a Cosa Nostra che comprese quale “pozzo di guadagni” potesse diventare il canale di Sicilia. Il primo grande rinvenimento in questo ricchissimo tratto di mare risale a una statua però ancora più antica: il cosiddetto “Melquart di Sciacca”, rinvenuto nel 1955 fra Selinunte e capo San Marco, è databile a prima dell’XI° sec. a.C. e dimostra la ricchezza dei traffici che già i Fenici intrattenevano con le loro colonie in Sicilia. Da alcuni identificato con la Divinità Siro-Palestinese Reshef o Adad ha aperto la strada alla legislazione sulle opere d’arte rinvenute in Mare. La legge italiana ha da allora sancito che l’opera appartiene al demanio dello stato di cui la nave batte bandiera: è diventata giurisprudenza consolidata per i rinvenimenti archeologici in acque extra-territoriali. E’ la più ancitca statua in bronzo rinvenuta finora nel mediterraneo e fu ripescata da un motopesca di Sciacca, L’Atleta di Fano è un “caso Internazionale” ormai anche se se ne parla assai poco: su questo principio l’Italia lo reclama al Paul Getty Museum di Malibu. Tra l’altro questa opera di Lisippo fu rinvenuta nel 1964 in acque territoriali italiane al largo di Fano: è un vero e proprio furto legalizzato agli occhi del Mondo.

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Paul Getty Museum

E’ da quando ci si adoperò per recuperare i resti del DC 9 Itavia, caduto in mare nel 1980, che le grandi imprese oceanografiche di recupero si sono accorte che c’è un tesoro immenso da recuperare lì sotto: un tesoro che risale ai commerci del XIV° – X° sec. a.C. dei Fenici. A questa storia se ne affianca un’altra, molto più dolorosa: quella della nuova Mafia creata da Matteo Messina Denaro e della trattativa con lo Stato che toccò il suo culmine proprio negli anni del rinvenimento del “Satiro Danzante”. Col suo passaggio a Capo Mandamento di Trapani nel ‘98 nacque un nuovo modo di agire della criminalità Organizzata: attenta al Business e di elevata estrazione culturale. Non più violenza e pizzo ma conoscnza storica e archeologica e, soprattutto, consapevolezza che per poter colpire e affondare lo Stato il nodo dei Beni Culturali era cruciale. Gli attentati a Firenze, Roma e Milano avevano obiettivi culturali e lo stesso Matteo Messina Denaro è un profondo storico ed esperto in archeologia e scavi clandestini. Lui conosce bene l’inglese e consolidò i legami, già indissolubili sin dalla conquista americana della Sicilia, con Cosa Nostra in America. Cresciuto col padre a scavare clandestinamente a Selinunte comprese che i beni Archeologici erano un’ottima posta in cambio per la trattativa con lo Stato, o meglio, i Beni Culturali e Artistici erano il mezzo per piegarlo cancellandone la sua identità. Per questo il suo arresto è di cruciale importanza per fare luce su cosa veramente sia sparito negli USA e su quanto ancora il business del traffico illecito archeologico la faccia da pendant a quello di droga e armi. Le collusioni con la politica italiana e americana di Cosa Nostra sono profonde ma, come dice lo stesso ex direttore dell’FBI Luois Freeh, grande collaboratore e amico di Falcone e Borsellino, è come aver arrestato un gerarca nazista vivente: è come se potessimo interrogare Hermann Goring sul Patrimonio Artistico sparito dal nostro paese durante l’occupazione nazista. L’Arte legittima il potere e da sempre i musei americani cercano di appropriarsi di quel retaggio storico che fece dell’Antichità Classica il proclama dell’Impero Romano: a lui si sono sempre ispirati gli USA, basti vedere l’architettura neoclassica di Washington. Un’occasione davvero troppo propizia per la Nuova Cosa nostra di Matteo Messina Denaro che faceva del Business Illecito Internazionale la sua punta di diamante. In quegli anni ‘90 così cruciali, le ricerche di R. D. Ballard misero in luce l’immesno patrimonio che poteva rifornire clandestinamente i caveau dei Muesi Americani.

In concomitanza e in contiguità coi luoghi di ritrovamento del Satiro danzante, R.D. Ballard, sotto lo pseudonimo di “Skerki Bank Project”, annunciò al mondo di aver localizzato la più grande concentrazione di relitti antichi in acque profonde a nord-ovest della Sicilia: lungo la stessa vi di comunicazione fra Roma e Nord – Africa che Generico, Re dei vandali, batteva in continuazione per depredarla dei sui tesori più preziosi: il più famoso di questi è il Sacco di Roma del 455 d.C. A nostra disposizione finora avevamo la pubblicazione dell’archeologa Anna Marguerite Mc Cann che partecipò in veste scientifica alla spedizione. Al di là delle varie pubblicazioni sul relitto del Titanic, della Corazzata Bissmarck e di Pearl Harbor, Ballard si è ben guardato dal comunicare chiaramente cosa veramente fu individuato. Al momento sappiamo che lo “Skirki Bank Project” individuò 8 imbarcazioni a 700 metri di profondità. La ragione è molto semplice: da allora si sono inseriti interessi economici che travalicavano i confini nazionale e Matteo Messina Denaro ne era attore principale. La nuova Cosa Nostra mirava a distruggere il Patrimonio Artistico con attentati eclatanti come a Roma, Firenze e Milano ma, allo stesso tempo, voleva depauperare il ricordo storico della nostra antichità classica. E’ in quegli anni che nasce il famigerato “triangolo” fra Sicilia, Svizzera e USA di cui tanto ho parlato nei miei lavori: Giovanni Franco Becchina, di Castelvetrano come Matteo Messina Denaro, diventò il ricettatore dei beni archeologici trafugati destinati al mercato clandestino americano. La legge svizzera permette il commercio di benio archeologici frutto di scavi clandestini e il Porto Franco di Ginevra è pieno di oggetti antichi con ancora la terra di scavo addosso ma, non solo, per la Svizzera transitano anche quegli oggetti che hanno ancora i datteri di mare attaccati sulla pelle di bronzo. Dagli anni settanta Becchina fu proprietario di una galleria d’arte a Basilea e potécontare sulla collusione con le grandi case d’asta europee. La vicenda è già stata ampiamente narrata riguardo all’Atleta di Fano: una miriade di succursali e centri di restauro con un andirivieni per varie città in tutto il mondo, fino a perdere traccia del bronzo e ritrovarlo anche esposto con falso pedigree in un grande museo americano. Nei primi anni duemila Concetto Mariano abbe incarico direttamente da Matteo Messina Denaro di trafugare il Satiro Danzante, conservato a Mazara del Vallo, per portarlo in America attraverso canali svizzeri. Questo è il grande mistero: come poteva Matteo Messina Denaro adempiere a ciò?

Dal 1979 Becchina fu più volte denunciato per il traffico illecito e nel 2001 fu individuato come al vertice dell’organizzazione criminale dedita al traffico internazionale di reperti archeologici. Nel 2017 una maxi-operazione coinvolse Gianfranco Becchina col sequestro per oltre 10 milioni di euro in cinque magazzini svizzeri. Fu anche sequestrato un archivio di 13.000 documenti sui traffici. Il comportamento di matteo Messina Denaro ci fa capire che ci sono altri canali che rendono il triangolo “Sicilia- Svizzera – USA” florido e potente. Matteo Messina Denaro è a conoscenza di questo ed il suo arresto è un’occasione per fare chiarezza. La rete di complicità che gli ha permesso una latitanza di 30 anni lo protegge anche negli USA: troppo forti sono i suoi legami con la Massoneria di alto livello sia italiana che americana. Infatti varie occasioni si sono vanificate per avere a disposizione documentazione importante (molto più di quella trovata a Gianfranco Becchina). Già Rodolfo Siviero ebbe a che fare col padre di Matteo Messina Denaro e riuscì a recuperare l’”Efebo di Selinunte” ma cogli anni la rete si è consolidata. L’Arte rubata ha infatti un ruolo chiave nella Trattativa Stato – Mafia, come ha detto Giovanni Brusca: questo implica un coinvolgimento dei Servizi Segreti anche degli altri Paesi che vogliono mantenere un potere decisionale sull’Italia. Possiamo però insistere e fare clamore perché arrendersi sarebbe la strada peggiore: sono troppi i nostri tesori in pericolo. Il “Satiro Danzante” è stato possibile salvarlo: questo è un chiaro esempio. Si è agito con celerità sospettando l’interesse di Cosa Nostra nel volerlo rubare dopo le stragi ai luoghi artistici più importanti d’Italia: gli uomini addetti al suo restauro si sono mossi subitaneamente e lo hanno trasferito, con celerità mai vista, al centro per il Restauro di Roma: da quella Roma dove in Antichità adornava uno dei suoi Templi e voleva proteggerlo. Quello che resta è constatare il blitz a Matteo Messina Denaro, portato via senza manette, il covo trovato postumo e, dopo 30 anni, il tempo perso per entrare nella casa di Andrea Bonafede, il prestanome che lo copriva. Si è entrati in casa sua dopo giorni di ritardo dalla sua cattura. A distanza di giorni si è scoperto il secondo covo di Matteo Messina Denaro e si sono trovati scatoloni vuoti. In quegli scatoloni vuoti potevano esserci i luoghi dove erano tenuti i bronzi più pregevoli della classicità. Ma questa tecnica è bene conosciuta, l’abbiamo già vista con l’”Atleta di Fano”: è la tecnica del “chewing gum”. Fare cioè in modo che i tempi della legge si allunghino a dismisura perché l’importante è che trascorra il “tempo della verità”.

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