Madri Medea e quei delitti che noi definiamo “contro natura”
In vent’anni oltre 480 bimbi morti in Italia per mano dei genitori: per le ragazze o le bambine, sei casi, su dieci sono commessi dalla madre, mentre per i figli maschi, le vittime sono ugualmente vittime tanto delle mamme quanto dei padri assassini.
E il delitto, già insopportabile e apparentemente inspiegabile di per sè, diventa ancora più atroce se ad uccidere è un genitore. Ci appare totalmente contro natura se ad uccidere è la madre, che con i figli ha il legame indissolubile per eccellenza, che quella vita ha portato in grembo per nove mesi per poi allattarla. Eppure nella storia dell’uomo, c’è anche Medea!
Già Medea, la tragedia di Euripide o la tragedia che è insita nell’animo umano? Scontro tra i barbari e seguaci di antiche religioni magiche, la stirpe di Medea che però tradisce pure il suo stesso popolo, perché Giasone conquisti il Vello d’Oro, (che poi erano pelli di pecora per setacciare le pagliuzze d’oro che scendevano per i fiumi della Colchide) e, in contro altare, la città, la polis greca che rappresenta l’umanità evoluta? Quindi quella che noi chiamiamo, senza bene sapere cosa sia: razionalità, contro quella che chiamiamo, senza sapere bene cos’è sia: passione? Forse c’è qualcosa di più: fatto sta che madri e padri non sempre sono all’altezza del compito e a sentire cosa è stato detto oggi, nel giorno in cui scopriamo che la madre di Elena ha raccontato tutto, inventando tutto, una vicenda di rapimento da parte di armati, per nascondere che, per gelosia (assieme all’invidia il peccato peggiore dell’uomo) ha ucciso e sotterrato la sua piccoletta di 5 anni, raggelano il sangue le parole de L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza che oggi ha presentato la “Relazione al Parlamento 2021”, che in estrema sintesi, hanno disegnato una società, quella italiana, dove i genitori sono in ansia, in piena crisi nell’educare i propri figli! Nel garantire loro una speranza certa ed un progetto di futuro!
Chi non avrà futuro, certamente, è la piccola e tenera Elena Del Pozzo, la bambina scomparsa a Catania e ritrovata morta questa mattina. Non è né la prima, né purtroppo sarà l’ultima bimba uccisa dalla madre. Una tragedia, quella di Mascalucia, che non costituisce affatto un evento isolato. Quali possono essere le cause di un atto così efferato? E cosa può e deve fare la società per affrontare questo problema – a quanto pare – più diffuso di quanto pensassimo? La madre che ha confessato e fatto ritrovare il corpo sotterrato a circa 200 metri dalla casa, non sa darsi spiegazioni.
Durante gli ultimi vent’anni numerose notizie di madri (e padri) che hanno ucciso i propri figli hanno suscitato straordinaria attenzione mediatica, per poi essere dimenticate nel giro di qualche trasmissione televisiva. Uno dei casi più famosi è quello dell’omicidio di Cogne. Il 30 Gennaio 2002 Annamaria Franzoni chiamò il 118, dicendo che suo figlio di tre anni, Samuele, vomitava sangue. Le ipotesi iniziali di un aneurisma o di un trauma da caduta vennero smentite, e i soccorritori constatarono che le ferite sul corpo del figlio erano frutto di un atto violento. L’autopsia stabilì come causa del decesso almeno diciassette colpi sferrati con un corpo contundente: Samuele fu pestato a morte, e secondo il tribunale proprio da sua madre. Forse con un ferro da stiro. Franzoni fu condannata, ma ha sempre negato l’infanticidio.
Nel Maggio 2002, a Valfurva, Loretta Zen uccise la piccola Vittoria, di 8 mesi, dopo averla messa nel cestello della lavatrice e attivato il lavaggio. Fu il padre, una volta rientrato a casa con l’altra figlia di 11 anni, a scoprirlo.
Nell’Agosto 2011, a Feniglia (Grosseto) Laura Pettenello uccise Federico, di 16 mesi, lanciandolo in mare durante una gita in pedalò. Inizialmente si pensò ad un incidente e solo in seguito nel suo pc gli inquirenti scoprirono che la donna aveva digitato continuamente le parole ‘infanticidio’ o ‘come uccidere un bambino’.
Nel 2014, alla stazione dei Carabinieri di Santa Croce Camerina si presenta Veronica Panarello, per denunciare la scomparsa del figlio, Loris Andrea Stival. La donna racconta di aver accompagnato il figlio a scuola quella mattina, ma nessuno lo ha mai visto entrare. La sera viene ritrovato il cadavere del bambino in un canalino nella periferia della città. Dopo una serie di false accuse, lanciate nei confronti del suocero, Panarello – che in realtà aveva strangolato suo figlio con delle fascette di plastica – viene condannata all’ergastolo. Diverso tempo dopo ha ammesso il delitto.
In quello stesso anno, il 2014, sono registrati 39 figlicidi – uno ogni 10 giorni.
Nel 2018, ad Aosta un’infermiera di 48 anni, Marisa Charrère, ha ucciso i figli Nissen e Vivien con un’iniezione letale di potassio, poi si è suicidata. La sostanza viene utilizzata negli Stati Uniti per le esecuzioni. I corpi sono ritrovati dal padre.
E questi sono solo pochissimi casi delle centinaia di figlicidi che si sono consumati. Secondo l’ultimo report Eures del 2019, gran parte di essi avviene per mano della madre, e tra le vittime (sia delle mamme che dei padri) prevalgono i figli maschi. Cosa può scattare nella testa di un genitore per portarlo a compiere un atto così crudele e “contro natura”? Tra i moventi ci possono essere patologie psichiatriche, sindrome di Medea, maltrattamenti, abusi e problemi relazionali.
“Un figlicidio è il cortocircuito più drammatico di ciò che può accadere nella mente di un essere umano, in particolar modo di un essere umano di sesso femminile, di una madre. Ed è sempre bene dire che di solito queste vicende non avvengono mai per caso, mai da un minuto all’altro, mai senza nessuna indicazione pregressa. Suonano come un monito per la società. Per andare a vedere gli elementi che indicavano una sofferenza e un disagio così gravi, elementi che certamente esistevano e certamente non sono stati colti, occorrerà scavare nella storia del passato prossimo, oltre che del passato remoto di questa donna”. E’ l’analisi di Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di Psichiatria (Sip), parlando dell’uccisione della piccola Elena. L’esperto prova a spiegare all’Adnkronos Salute cosa può succedere nella mente di una mamma che arriva a compiere un gesto inimmaginabile: “La relazione fondante dell’esistenza è la relazione tra la madre e il figlio. Quando questa relazione fallisce, diventa distruttiva, drammatica e arriva al figlicidio, è come se si compisse la rivoluzione, la tragedia, la costruzione del nonsenso più grave dell’essere umano. Per comprendere meglio quali possono essere le ragioni di una tragedia di questa dimensione, dobbiamo ricorrere a due categorie: quella della psicopatologia e quella dell’evento che scatena la psicopatologia”. E quindi “nella storia di questa donna” andrà ricostruito “quali sono le tappe del neurosviluppo, quali sono i traumi subiti, quali le complicanze ambientali, familiari, sociali, economiche che ne hanno determinato una condizione così grave di discontrollo degli impulsi e di incapacità a reggere il rapporto con la realtà e quindi con lo stesso frutto del proprio grembo, che tipo di psicopatologia nella storia evolutiva questa donna ha subito. E poi qual è il trigger, l’elemento finale drammatico che ha scardinato i controlli, ha annullato la razionalità e portato a questo gesto estremo. Questo è il lavoro dello psicopatologo, del tecnico della sofferenza psichica dell’uomo”, spiega l’esperto. Ma Di Giannantonio punta l’attenzione anche su un altro elemento doloroso di questa storia.
A colpire lo psichiatra è il fatto che “questa persona ha inventato delle scuse, ha accusato falsamente tre personaggi, ha pensato di occultare le prove e deviare il corso delle indagini”. Per capire perché “dobbiamo entrare nel mondo delirante del senso di colpa, del tentativo di allontanare da sé il dolore e la percezione drammatica dell’enormità del gesto compiuto, che però, di fronte a delle contestazioni del mondo della realtà – l’interrogatorio degli inquirenti, gli elementi di tracce filmate, testimonianze di persone, contraddizioni nelle dichiarazioni – hanno reso immediata la confessione. È come se – analizza Di Giannantonio – il peso della colpa e il peso insostenibile del gesto drammatico compiuto abbiano portato a una confessione che diventa una richiesta di punizione e di condanna”. Quello che è successo è qualcosa di “così enorme” che questa persona “pagherà per sempre”, osserva l’esperto che solleva anche il tema del ruolo protettivo che la società può avere. “Occorre dire anche che la gravidanza per una donna è una sfida drammatica al suo assetto neurobiologico, neuropsichico e interpersonale e intrapersonale. Bisognerà porre un’attenzione maggiorata a quelle che possono essere le conseguenze di traumi, cambiamenti e paure delle quali molto spesso queste persone non hanno un’interlocuzione né corretta né adeguata”, conclude.
Si sono cose che senza certi termini, certi tecnologismi, certe categorie, si saranno sentite anche ad Atene, non duemilacinquecento anni fa circa, quando andò in scena Medea, ma quando si formò questo mito, quindi magari altri mille anni prima, 300 prima della distruzione di Troia, dive anche lì si registrano uccisioni di figli: ma nel frattempo, l’umanità non è migliorata molto!
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