Il tesoro depredato nel relitto del Polluce

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L’esperto ci racconta

Grazie al contributo del Dott. Daniele Venturini ci immergeremo alla ricerca di un tesoro sommerso nelle acque toscane.

Il Dott. Ph.D. Daniele Venturini, Archeologo. E’ Dottore di Ricerca Internazionale – Università Politecnica di Valencia (ES) , presso la Facultad Bellie Artes in: ” Ciencia y Restauración del Patrimonio Histórico – Artístico” e ha maturato un Master in Didattica, Divulgazione e Nuovi Media nell’Antichità; con Perfezionamento in Tecniche della Comunicazione presso l’Università di Ferrara.

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I gemelli della mitologia greca

Nella mitologia greca, Polluce e il gemello Castore, erano figli di Zeus (Giove per i Romani). Si racconta che Zeus si innamorò della bella Leda, moglie del re Tindaro, e si unì a lei trasformandosi in un bellissimo cigno bianco, facendole generare due uova. Da un uovo nacquero, nelle vicinanze di Sparta, i gemelli Polluce ed Elena, e dall’altro Castore e Clitennestra. Castore e Clitennestra si dice, però, fossero figli di Tindaro, marito di Leda, che si unì a lei dopo gli amori di questa con Zeus. Pertanto Polluce, figlio del dio, era immortale, a differenza del fratello “umano”. I due ragazzi crebbero e diventarono degli eroi, forti e coraggiosi. Castore diventò un forte pugile, mentre Polluce era un indomabile guerriero.

Le due navi gemelle

Nel nostro caso Polluce, era il nome dato ad un piroscafo costruito nei cantieri di Normand Le Havre in Francia, varato nel 1839. Caratteristiche: dislocamento 177,56 tonnellate, lungo 40 metri, largo 7,25 metri, pescaggio 3,33 metri, velocità 10 nodi. Aveva una altro gemello: il piroscafo Castore. Entrambe le navi erano di proprietà dell’armatore Rubattino di Genova. Erano piroscafi in legno, con chiglia foderata in rame, alberatura da brigantino-goletta e ruote azionate dalle macchine a vapore al centro della nave. Erano battelli moderni che sfruttavano la propulsione a vapore, precursori della grande navigazione a motore del XX secolo.

Piroscafo Polluce

Il naufragio

La notte del 17 giugno 1841 il Polluce, salpato da Livorno e diretto a Marsiglia, viene speronato dal Mongibello, un piroscafo con bandiera del Regno delle Due Sicilie, diretto a Napoli. All’incidente seguono gravi scambi di accuse tra le compagnie, proprietarie delle navi coinvolte nel naufragio. Il Tribunale di Livorno nel 1844, condannava il Comandante del Mongibello per lo speronamento, ma nessuno veniva risarcito. I passeggeri del Polluce, che erano 80, non si presentarono al processo presso il Tribunale di Livorno. Rubattino tentò di recuperare la sua nave, poco dopo il naufragio, ma non riuscì nell’impresa a causa della profondità di ben 103 metri, all’epoca dei fatti non vi era la tecnologia per poter portare a termine il recupero a quella profondità.

Cosa trasportava il piroscafo Polluce?

Monete d’oro e d’argento, gioielli, orologi e cammei, diamanti, smeraldi. Un grande tesoro si trovava a bordo del Polluce, un tesoro dal valore inestimabile: quasi 350 milioni di euro, ipotizzano gli esperti quando, il 17 giugno 1841, a seguito dello speronamento da parte della nave Mongibello, il piroscafo affonda e si inabissa nelle acque antistanti l’Isola d’Elba. Le persone a bordo, circa una ottantina, riusciranno tutte a salvarsi nell’indifferenza totale dell’equipaggio napoletano che rimase sotto coperta per tutto il tempo. Il piroscafo napoletano, tentò di proseguire sulla sua rotta ma il comandante Caffiero venne assalito e dovette prima fare scalo a Longone e quindi a Livorno, dove nottetempo se la svignò per Civitavecchia. Gli accertamenti espletati dalle autorità livornesi, inducono a pensare che le modalità dello speronamento siano state volontarie. L’Armatore, assistito dall’avvocato Guerrazzi di Livorno, intentò una causa ai napoletani, vinse il processo nel 1842 ma, nonostante la sentenza, non fu mai risarcito.

Monete d’oro rinvenute nel Polluce. Foto presa dal sito https://www.difesaonline.it
Esemplare in oro da 100 lire di Carlo Alberto re di Sardegna concrezionato con altre monete dal relitto del Polluce (photo credit: H.D.S. Italia)

Il tentativo di recupero e la bancarotta

Raffaele Rubattino tentò l’impresa disperata di recuperare il relitto a 103 metri di profondità. Spese la somma di 740.000 lire, riducendo la compagnia sul lastrico (il Polluce era costato 500.000 lire). Si conoscono i dettagli del recupero fallito grazie a Cesare de Laugier, colonnello napoleonico di nascita elbana, che ha lasciato un libretto di 48 pagine editato una settimana dopo l’ultimo tentativo di recupero, nel novembre del 1841, in cui spiega che:” la Società deve sapere che tutto è stato fatto per recuperare il Polluce”. Impossibile conoscere il manifesto di carico del Polluce. Gli archivi della Navigazione Italia, succeduta alla Rubattino & C., sono andati in fumo nei bombardamenti di Genova nel 1943.

La vicenda diviene leggenda

Questa storia si tinge di leggenda per alcuni secoli, si parla di trame imbastite dal Regno delle due Sicilie, per sabotare il Polluce, di comportamenti eroici dei comandanti, si narra che a bordo del piroscafo affondato, vi fosse anche una carrozza in oro. Tutte leggende elbane o realtà?

Come si arriva a recuperare parte del tesoro?

Nave Artiglio II, nave d’appoggio usata nel 1935 per le operazioni di recupero del Polluce.

Nel dicembre del 1935 l’Artiglio II, nave d’appoggio con attrezzature all’avanguardia per quei tempi, iniziò la sua opera di ricerca in un punto che era stato segnalato precedentemente con due boe (poste a Longitudine 10,30 Est e Latitudine 32,47 Nord). Sebbene i lavori di recupero fossero fortemente ostacolati dal maltempo, i palombari viareggini non si persero d’animo e ripresero a lavorare con la benna. Negli ultimi giorni di gennaio l’Artiglio dovette nuovamente sospendere i lavori di recupero a causa delle avverse condizioni meteorologiche. Fu deciso quindi di sospendere.

La disputa con gli inglesi, “moderni pirati”

Nel 2000, alcuni studiosi, avventurieri inglesi, non si sa come riescono ad avere gli atti del processo di Livorno, che erano andati perduti. Sembra che un francese li abbia copiati e venduti ad una società inglese. Nel 2000 gli inglesi, attraverso il Consolato britannico di Firenze, chiedono il permesso per recuperare un carico di alluminio dalla nave Grenlogan, battente bandiera inglese, affondata dai tedeschi nel 1916, nelle acque antistanti l’isola di Stromboli. Gli inglesi, li definirei “moderni pirati”, in maniera truffaldina, inseriscono nella richiesta le coordinate del relitto del Polluce. Da qui nasce e si sviluppa il disegno criminoso posto in essere dagli inglesi. Durante tutto il percorso burocratico, a nessuno, sottolineo nessuno, viene in mente di controllare le coordinate. Una svista, dimenticanza, negligenza? Fatto sta che gli inglesi ottengono l’autorizzazione. Affittano un rimorchiatore a Genova, su cui era installata una gru, e iniziano le operazioni di recupero, tirando su a caso circa tre tonnellate di detriti. Da questo materiale ne scaturì un enorme tesoro, costituito da monete d’oro e d’argento, monili dell’ottocento, vasellame, orologi e cristalli. Il lavoro durò per 21 giorni. Gli inglesi dichiararono alla Capitaneria di Porto italiana, di aver trovato il relitto della nave britannica affondata dai tedeschi, e di aver recuperato pochi preziosi e poco materiale. Nelle dichiarazioni fatte alle autorità inglesi, invece, dichiararono di aver trovato molto materiale, ma su una nave che si trovava in acque internazionali. Questa dichiarazione, ovviamente mendace, dava agli operatori la garanzia di mantenere la proprietà del tesoro recuperato, nel caso che nessuno accampasse diritti.

Le indagini degli inquirenti

Qualcosa andò storto, il 17 giugno 2001, gli agenti di Scotland Yard, sequestrarono in una casa d’aste londinese, la Dix Noonan Webb, molti preziosi provenienti dalla razzia fatta l’anno precedente sul relitto del Polluce. Vennero contattati i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Firenze, i quali condussero le indagini in Italia e, il 10 ottobre 2002, i colleghi inglesi consegnarono tutto il materiale da loro sequestrato nella casa d’aste, sopra menzionata. Questo atto vandalico, posto in essere dai cacciatori di tesori, ha gravemente compromesso l’integrità del relitto: manca la quasi totalità delle monete d’oro. Questo episodio, ha causato una grave perdita per il patrimonio culturale italiano, sia sotto il profilo economico che storico.

La constatazione dei danni al sito

Nel maggio 2003, a bordo del Janus, battello oceanografico di Henri Delauze proprietario della Comex di Marsiglia, che fa parte anche del consiglio di amministrazione della Odissey, (società di Miami che recupererà il Republic e il Sussex con la pancia piena d’oro), i responsabili dell’archeologia nazionale, ospiti a bordo, hanno visto il luccichio delle monete disperse tra gli spuntoni del relitto. Con le pinze del Rov, il sommergibile filoguidato, Delauze ne ha prese alcune, è sceso lui stesso sul fondale con il sommergibile biposto Remora. Dirà: «Lo scafo è irrecuperabile e lo scavo dei pezzi rimasti e del resto di carico è pericoloso. C’è poca visibilità, molte correnti, e le insidiosissime reti dei pescherecci». La domanda a questo punto sorge spontanea: perché gli archeologi presenti sulla nave Janus, non hanno cercato di capire come un simile atto vandalico, un furto ai danni dello Stato, sia potuto avvenire? (Archeologia online – Archeomedia).

Leggi anche  Il saccheggio della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. La necessità della tutela, valorizzazione e musealizzazione dei beni culturali.

Chi era Henri Delauze?

Henri Delauze – Il cacciatore di tesori sommersi

Henri, nasce il 17 settembre del 1929 a Carianne in Francia, si laurea in ingegneria, diventa un uomo d’affari e il più grande cacciatore di relitti del dopoguerra. Muore a Marsiglia il 29 febbraio del 2012. Che spiegazioni da la Soprintendenza in merito a questa vicenda?

<<Presto reperti in mostra: è una questione chiusa la vicenda del tesoro sul relitto del Polluce. Lo afferma la Soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana precisando che lo scafo è ormai irrecuperabile, che i sub britannici che trafugarono monili e monete furono arrestati nell’ottobre 2002 e che i reperti sono stati tutti riconsegnati all’Italia. Nessuno può escludere, osserva Andrea Camilli, direttore del cantiere delle navi romane a Pisa e funzionario della soprintendenza ai beni archeologici della Toscana , che la’ sotto, a quasi 100 metri di profondità, ci sia rimasto ancora qualcosa di valore. Ma l’ultimo sopralluogo compiuto alcune settimane fa con sofisticate attrezzature da esperti della soprintendenza, come riportato da alcuni periodici di settore, ha confermato che il relitto e’ stato irrimediabilmente compromesso dall’intervento vandalico di una equipe inglese che ha danneggiato ripetutamente lo scafo con una benna. Credo dunque che il gioco non varrebbe la candela”. Del relitto, spiega lo studioso, ”se ne sono occupati ripetutamente, oltre che la soprintendenza, anche il ministero e i carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale della Toscana che hanno condotto con successo, in collaborazione con Scotland Yard, l’operazione che ha portato all’arresto di quattro inglesi responsabili di aver rubato ed esportato i reperti.  Come fu spiegato dai militari dell’Arma e dai colleghi inglesi, nella conferenza stampa congiunta del 9 ottobre 2002 a Firenze, i sub inglesi rubarono dal relitto (che in alcuni documenti e’ chiamato Pollux) ed esportarono clandestinamente dall’Italia in Inghilterra reperti per un milione e mezzo di euro: orologi, vasellame, porcellane, un migliaio di monete d’oro e d’argento, bottiglie. Alla capitaneria di porto italiana i quattro denunciarono di avere recuperato una sessantina di monete d’oro ed un po’ di vasellame, ma dettero una versione diversa alle autorità inglesi. Poco prima che il bottino fosse messo all’asta, alcuni sospetti degli addetti ai lavori e, soprattutto, i controlli incrociati tra le autorità portuali inglese e italiana, hanno fatto emergere delle incongruenze ed hanno portato all’arresto dei quattro inglesi. Il prezioso materiale é ora in mano alle autorità italiane ed e’ assai probabile che possa essere esposto in una mostra prima di essere definitivamente consegnato ad un museo>>.

L’intervento della Marina Militare Italiana

Grazie all’Historical Diving Society (HDS) nel 2004, fu effettuato il recupero di alcuni resti tramite la ditta Marine Consulting di Ravenna in collaborazione col Ministero dei Beni Culturali, della Soprintendenza della Toscana e del Comune di Porto Azzurro.

Nell’ottobre del 2005 il recupero fu continuato con l’ausilio di subacquei in saturazione e richiesto il supporto della Marina Militare Italiana. Dopo due missioni, nel 2007 e nel 2008, in cui furono recuperate oltre cento monete dai palombari di nave Anteo, il 25 settembre 2014, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), venne recuperata una nuova serie di monete provenienti dal “tesoro” del relitto. L’operazione fu condotta sempre da Nave Anteo e dal Gruppo Operativo Subacquei (GOS) del Comando Subacquei ed Incursori (COM.SUB.IN.) “Teseo Tesei” lavorando in saturazione ad una profondità di oltre 100 metri. Le monete recuperate, dei colonnati spagnoli d’argento da 8 reali, sono risultate di grande interesse storico e numismatico. La scoperta dei nuovi reperti fu facilitata dal nuovo ROV (Remoted Operative Vehicle) PEGASO, in dotazione a COM.SUB.IN., un sofisticato sistema robotico filoguidato dotato di potenti bracci manipolatori, telecamere ad alta definizione e sonar di ultima generazione che può raggiungere i 2.000 metri di profondità.

Fasi del recupero del tesoro rimasto nel relitto del Polluce. Foto prese dal sito della Marina Militare
Fasi del recupero del tesoro rimasto nel relitto del Polluce. Foto prese dal sito della Marina Militare

Personalmente sono convinto, ma è una mia idea, che la maggior parte del tesoro del Polluce sia stato trafugato tra il 2003 e il 2004. Questa mia convinzione nasce dall’attenta lettura di articoli di giornale. Per chi come me ha fatto per una vita l’investigatore, balzano agli occhi alcuni particolari, come quello del “falso” recupero di alluminio dalla nave Grenlogan, battente bandiera inglese, affondata nelle acque antistanti l’isola di Stromboli nel 1916. Come ho sopra riportato, gli inglesi in maniare truffaldina, nella richiesta per l’autorizzazione a eseguire i lavori di recupero del relitto, inseriscono le coordinate relative al naufragio del Polluce, che è avvenuto un secolo prima nelle acque antistanti l’Isola d’Elba. Domanda: come è potuto accadere una cosa del genere? Voglio pensare ad un errore/disattenzione. Chi doveva controllare, non ha pensato di fare un accertamento “ad hoc” sulle coordinate, altrimenti si sarebbe accorto che la nave Grenlogan, fu affondata dai tedeschi nelle Eolie, un secolo dopo del piroscavo Polluce, che fu affondato all’Isola d’Elba, quindi avrebbe scoperto la truffa che era stata posta in essere dagli inglesi. Questo è l’elemento più importante di questa vicenda, ma vi è un’altro particolare che non mi quadra: l’intervento del 2003, del noto cacciatore di relitti francese Henri Delauze. Come risulta da articoli di giornale, Henri Delauze si immerge sul fondale con il sommergibile biposto Remora, prendendo alcune monete. Risalito dirà agli archeologi italiani: “Lo scafo è irrecuperabile e lo scavo dei pezzi rimasti e del resto del carico è pericoloso. C’è poca visibilità, molte correnti, e le insidiosissime reti dei pescherecci”.

Abbiamo uno spazio temporale di un anno tra l’immersione di Henri Delauze e il recupero di alcuni resti tramite la ditta Marine Consulting di Ravenna in collaborazione col Ministero dei Beni Culturali, della Soprintendenza della Toscana e del Comune di Porto Azzurro, che inizia nel 2004, prosegue nel 2005, poi si ferma per una anno e riparte con due missioni nel 2007 e 2008. Nell’ultima missione furono recuperate oltre cento monete dai palombari di nave Anteo, era il 25 settembre 2014.

È fin troppo facile porsi una domanda: se le ricerche sui fondali dove giace il relitto del Polluce, sono state interrotte per un anno, considerato che non sembra che vi fosse un controllo “stretto” nello specchio d’acqua dove giace il relitto, visto che un ingente carico di monete e preziosi (70.000 columnario d’argento e 100.000 monete d’oro), oltre agli effetti personali dei viaggiatori e le merci trasportate (tra cui una carrozza d’oro?) scomparvero negli abissi, la stima del tesoro trasportato dal battello fatta dagli esperti sarebbe di quasi 350 milioni di euro, mancherebbero all’appello tantissime monete e preziosi, direi la stragrande maggioranza del tesoro. Questo ci fa pensare che qualcuno abbia violato il relitto e si sia impadronito della gran parte del tesoro stesso. Polluce, unico tesoro sommerso mai trovato nei mari italiani, si è tinto di leggenda, e anche di “leggerezza”, con la quale, stando alle informazioni sui fatti, riportati dagli articoli dell’epoca e anche successivi, alcuni funzionari dello Stato hanno sbrigato le pratiche burocratiche e altri si sono fidati di un uomo, Henri Delauze, noto come il più grande cacciattore di relitti del dopoguerra.

Daniele Venturini

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